La crisi idrica in Italia

La “Relazione annuale al Parlamento sullo stato dei servizi idrici” del 2006 indica un fabbisogno idrico complessivo dell’intera nazione, per l’inizio del XXI secolo, in 54,3 miliardi di m³/anno, superiore quindi alle risorse disponibili (51,8 miliardi m³/anno).

Ambito di utilizzo Richiesta (%) Volume (miliardi mᶾ/anno)
Civile 14% 7,6
Agricolo 49% 27
Industriale 25% 13,3
Energetico 12% 6.4
Totale 100% 54,33

Le ormai frequenti situazioni di emergenza confermano come la gestione delle risorse idriche vada migliorata. Un primo problema è dovuto al fatto che la domanda si concentra nei mesi estivi: i dati di disponibilità e di consumi infatti sono annuali, ma gran parte dei consumi si concentra nei mesi della tarda primavera e dell’estate. La domanda irrigua, tipicamente, va da aprile a ottobre.
A partire da ottobre comincia ad aumentare sensibilmente anche la domanda per usi. La mancanza di acqua in alcune zone d’Italia è legata appunto a questa concomitanza di picco di domanda. C’è poi un ulteriore aspetto da considerare: se il prelievo di 40 miliardi di m³ sembra teoricamente compatibile con la disponibilità dei 52 miliardi, non è altrettanto compatibile con la qualità delle acque dei fiumi e delle falde.
La stima delle risorse utilizzabili infatti non tiene conto della necessità di mantenere una circolazione idrica naturale: nelle stagioni critiche, le portate di fiumi e falde tendono a essere quasi completamente sfruttate e non rimane un deflusso naturale sufficiente, non solo a mantenere vivo l’ecosistema nel caso dei corsi d’acqua, ma nemmeno a diluire gli inquinanti che seppur trattati dai depuratori è necessario scaricare. I dati relativi alla qualità di alcune stazioni campione nei principali fiumi italiani durante gli ultimi 10 anni, mostrano una situazione mediocre a dimostrazione che il massiccio intervento infrastrutturale in termini di depurazione civile e industriale ha permesso di arrestare, ma non di invertire la tendenza al degrado qualitativo delle risorse idriche.
Permangono quasi dappertutto condizioni di degrado dei corpi idrici, particolarmente critiche nei periodo di minore deflusso a dimostrazione che le infrastrutture di depurazione, seppur necessarie, non bastano a garantire una qualità accettabile delle risorse idriche superficiali. In pochissime stazioni lo stato delle acque rientra negli standard di qualità previsti per i pesci e la balneazione, mentre dal punto di vista biologico non si registrano quasi mai classi di qualità diverse dallo stato “inquinato”.
Da rilevare, inoltre, una crescente attenzione dell’opinione pubblica rispetto al problema della qualità delle acque e al suo impatto sull’ambiente e sulla salute umana, che sta portando ad una progressiva perdita di fiducia dei cittadini verso il consumo di acqua del rubinetto: secondo un’indagine dell’Istat il 50% degli italiani beve acqua minerale, con il risultato che la crisi di fiducia verso le acque non confezionate, viene pagato direttamente dai consumatori.
Sarebbe necessario applicare un concetto di sviluppo sostenibile al governo delle risorse idriche, riducendo la domanda e le pressioni nei confronti delle risorse disponibili, incrementando l’efficienza negli usi, tenendo conto del valore ecologico e del valore economico dell’acqua.

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